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Mandato di arresto europeo dalla Romania, come evitarlo

Le asimmetrie tra la legge 22 aprile 2005, n. 69, e quelle degli altri Stati europei possono rappresentare un’importante chiave di volta per riuscire a evitare un mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria tedesca. Nell’ordinamento italiano alla decisione quadro 2002/584/Gai è stata infatti data un’attuazione che ha rafforzato i diritti processuali di indagati e imputati. Rispetto alla disciplina delineata in sede europea, la normativa di attuazione italiana ha introdotto, anche in difformità dalla decisione quadro, meccanismi di controllo e rifiuto della consegna molto rigorosi, specie attraverso l’introduzione di una generale obbligatorietà delle diverse condizioni ostative. È stata costruita una procedura complessa, basata su controlli sia del titolo a fondamento della richiesta, sia della situazione sostanziale e processuale che ne aveva giustificato l’emissione. Proprio in queste aree «di contrasto» normativo va a inserirsi il lavoro del difensore, chiamato dall’assistito a individuare un’alternativa alla consegna allo Stato richiedente.

Le asimmetrie normative tra germania e italia

Entrando nel merito dei profili di asimmetria, che talvolta diventano di vero e proprio contrasto, tra la decisione quadro e la legge di attuazione, gli operatori del diritto registrano un’ampia elaborazione giurisprudenziale da parte della Corte di Cassazione: così, ad esempio, in relazione al requisito dei gravi indizi di colpevolezza (che devono integrare un compendio indiziario che l’autorità emittente abbia ritenuto seriamente evocativo di un fatto-reato), o a quello della motivazione del titolo di arresto (che non può essere parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, ma può ritenersi integrato anche attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona richiesta), oppure ancora in relazione all’espresso motivo di rifiuto della consegna nell’ipotesi in cui «la legislazione dello Stato membro emittente non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva». Proprio in relazione a quest’ultimo profilo, si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di cassazione, ritenendo compatibile con l’art. 18, comma 1, lett. e), cit. e con i principi stabiliti nell’art. 13 Cost., secondo il quale «la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva», non solo quegli ordinamenti giuridici in cui sia espressamente fissato un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, ma anche quelli in cui siano comunque previsti specifici meccanismi processuali che comportino, secondo cadenze prefissate, un controllo giurisdizionale sulla necessità della custodia cautelare oppure alla sua immediata cessazione.

I termini di custodia come opportunità per evitare il mae

L’obiettivo della Cassazione, in tal modo, è stato quello di dar vita a un percorso interpretativo in grado di bilanciare le esigenze di conformità sia ai principi costituzionali che al quadro normativo euro-unitario, escludendo la ricorrenza dell’ipotesi ostativa in relazione ad un Mae emesso dall’autorità giudiziaria della Repubblica federale di Germania, poiché l’ordinamento processuale di quest’ultima prevede un limite massimo di custodia cautelare (pari a sei mesi) e assicura, pur nell’eventualità di proroga di tale termine, la sottoposizione a controlli ex officio, cronologicamente cadenzati, cui è condizionata la necessità di mantenere l’imputato nello status custodiae, imponendo, in mancanza di tali controlli, un automatico effetto liberatorio. È stato così superato un ostacolo di indubbio rilievo, dato che in molti Stati membri dell’Unione europea mancano regole concernenti la previsione di termini massimi di custodia cautelare nella fase del giudizio e l’esigenza di contenere la durata della misura detentiva è affidata a controlli periodici da parte del giudice competente o ad altri meccanismi in concreto più efficienti di quelli italiani, i cui termini massimi finiscono troppo spesso con il legittimare sino alla fine del processo una custodia in carcere estremamente lunga.

Mandato di arresto dalla Germania, il nodo della doppia punibilità

Non mancano tuttavia i motivi che possono rappresentare un ostacolo alla non esecuzione del mandato di arresto europeo. Numerosi giuristi annoverano tra questi il superamento della tradizionale condizione ostativa relativa alla verifica della doppia punibilità quale motivo di diniego dell’esecuzione della consegna. La Corte di giustizia ha stabilito il principio secondo cui, nel valutare il requisito della doppia incriminabilità, l’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione deve verificare se gli elementi di fatto alla base del reato sarebbero di per sé, nell’ipotesi in cui si fossero verificati nello Stato membro di esecuzione, penalmente perseguibili anche nel territorio di quest’ultimo. In linea generale, proprio in relazione a un mandato di arresto europeo emesso dalla Procura di Stato di Amburgo per una serie di reati di evasione fiscale, la Corte di Cassazione si è orientata nel senso di precisare che l’art. 7, comma 2, della legge n. 69/2005 contiene una sorta di deroga al principio della doppia punibilità, prevedendo che nel caso di reati fiscali e in materia di dogana e cambio non sia richiesta una coincidenza con la disciplina che regola la stessa materia nello Stato richiedente, imponendo però con riferimento ai soli reati fiscali, una valutazione di assimilabilità per analogia tra tasse o imposte previste in Italia e nello Stato richiedente, valutazione a cui si aggiunge l’ulteriore presupposto che la fattispecie di reato prevista in Italia sia punita con la pena della reclusione pari o superiore a tre anni, senza possibilità di prendere in considerazione le eventuali aggravanti.

I limiti della giurisdizione come possibile motivo di rifiuto del mae

Uno dei temi sui quali i giuristi registrano un’importante elaborazione interpretativa della giurisprudenza italiana è quello dei limiti della giurisdizione nell’ipotesi in cui ricorre la condizione ostativa prevista dall’art. 18, comma 1, lett. p), della legge 22 aprile 2005, n. 69, cioè l’ipotesi in cui «il mandato di arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio». Sono infatti numerosi i casi in cui l’ambito di applicazione di questo motivo di rifiuto è venuto in rilievo nei rapporti con le autorità giudiziarie tedesche. Al riguardo appare emblematico il caso in cui è stata rifiutata la consegna di un cittadino italiano imputato, in concorso con altre persone, con l’accusa di aver commesso diversi furti aggravati, reati consumatisi sul territorio tedesco, la cui progettazione, organizzazione e predisposizione erano però avvenute nel territorio italiano. Sul punto, la Cassazione ha affermato che deve essere rifiutata la consegna richiesta dall’autorità giudiziaria straniera nel caso in cui una parte della condotta criminosa si sia verificata nel territorio italiano. In tale ipotesi vengono dunque privilegiate le esigenze della giurisdizione nazionale nella loro espressione spaziale (il cosiddetto principio di territorialità), salvo il caso in cui il fatto oggetto del Mae non si identifichi in termini di medesimezza con quello punibile in Italia.