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Mandato di arresto europeo dalla Croazia, un tema spinoso

Qualora un indagato sia destinatario di un mandato di arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria croata quest’ultimo ha, suo malgrado, elevate possibilità che la consegna venga eseguita dall’Italia, anche nel caso in cui, almeno apparentemente, possa configurarsi una violazione del principio della doppia punibilità. La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso del presunto contrabbandiere, ha escluso la necessità di una perfetta sovrapposizione tra la fattispecie prevista dall’ordinamento estero e quella contemplata dall’ordinamento italiano, purché le stesse risultino analogicamente assimilabili. Un pronunciamento destinato ad avere un impatto tutt’altro che trascurabile per le sorti processuali di decine di imputati per quello stesso reato.

Il caso del contrabbandiere italiano ricercato dalla croazia

La vicenda oggetto di questo articolo vede protagonista un cittadino italiano finito alcuni anni fa sotto inchiesta dopo essere stato trovato in possesso, sul territorio della Croazia, di 9,18 chili di tabacchi lavorati esteri in evasione dei diritti di dogana. La Corte di appello di Trieste, in accoglimento della richiesta dell’autorità giudiziaria croata, ne aveva infatti disposto la consegna, subordinandola alla condizione che, trattandosi di cittadino italiano, quest’ultimo, dopo essere stata interrogato, fosse affidato nuovamente all’Italia per scontare l’eventuale condanna. L’autorità giudiziaria croata aveva così adottato, il 2 ottobre 2015, il mandato di arresto europeo al fine di procedere all’interrogatorio per il reato di contrabbando di sigarette. L’indagato si è però opposto alla consegna e tramite il proprio difensore ha fatto ricorso per Cassazione, denunciando un vizio di violazione della legge n. 69 del 2005, art. 7.

Le presunte violazioni del mandato di arresto europeo e la linea difensiva

Il ricorso è stato articolato su più punti, nel primo dei quali si ravvisava che la fattispecie di contrabbando doganale, in caso di quantitativo inferiore ai dieci chili, già prevista come delitto dall’art. 291 bis del T.U.L.D., in seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, nell’ordinamento italiano non costituisce reato ma è oggetto di sanzione pecuniaria: ne sarebbe quindi conseguita la violazione del principio della doppia punibilità posto a fondamento della legislazione sul mandato di arresto europeo. La decisione impugnata non avrebbe poi fatto corretta applicazione del principio richiamato dalla parte della L. n. 69 del 2005, art. 7, che rinvia al limite di pena pari o superiore a tre anni della violazione prevista nell’ordinamento italiano, poiché al momento della decisione sulla richiesta del mandato di arresto Europeo, la fattispecie di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 291 bis, comma 2, è punita con una mera sanzione amministrativa. Con il secondo motivo il ricorrente denunciava invece la presunta illegittimità della misura cautelare evidenziando che la richiesta della Croazia era intervenuta a cinque anni dai fatti; non conteneva in allegato le specifiche esigenze istruttorie che legittimassero il nuovo interrogatorio dell’indagato, già in precedenza arrestato in flagranza e sottoposto a interrogatorio; non specificava invece né la possibile durata della misura né quella di celebrazione del processo essendo del tutto generico il rinvio alla necessità di “ascolto” della persona richiesta.

Ricorso respinto, la cassazione dà ragione all’autorità croata

Il ricorso avanzato dalla difesa del contrabbandiere non è però andato a buon fine. La Corte di Cassazione, rigettandolo, ha infatti dato seguito all’operato della Corte di appello di Trieste. In particolare il ricorso e le motivazioni addotte dall’indagato sono stati ritenuti inammissibili per manifesta infondatezza delle censure. La L. n. 69 del 2005, art. 7, dopo avere previsto al comma 1 il principio della doppia punibilità, contiene un’espressa deroga, stabilendo che questo non vada applicata nei casi in cui, in materia di tasse e imposte, di dogana e di cambio, la legge italiana non impone lo stesso tipo di imposte e tasse oppure non contiene lo stesso tipo di disciplina in materia dello stato membro di emissione. Tuttavia, aggiunge, deve trattarsi di tasse e imposte che siano assimilabili, per analogia, a tasse o imposte per le quali la legge italiana prevede, in caso di violazione, la sanzione della reclusione della durata massima, escluse eventuali aggravanti, pari o superiore a tre anni. Secondo gli Ermellini della Sesta sezione la Corte territoriale non era dunque tenuta ad applicare il principio della doppia punibilità, ma a verificare l’assimilabilità dell’imposta evasa in Croazia con una fattispecie della corrispondente materia prevista dalla legge italiana, e la sussistenza del limite di pena cioè la sanzione della reclusione della durata massima, escluse eventuali aggravanti, pari o superiore a tre anni. La Cassazione ha infine ritenuto infondate le deduzioni contenute nel secondo motivo di ricorso che investono un aspetto, quello delle esigenze in vista delle quali è disposto il mandato di arresto, che non possono essere oggetto di verifica diretta da parte dell’autorità richiesta in consegna, che non può rifiutare la consegna sovrapponendo alla valutazione di questo profilo espressa dall’autorità emittente una diversa valutazione, in presenza della specifica indicazione degli atti processuali in vista dei quali è richiesta la presenza dell’indagato.