L’articolo 74 del Testo unico delle leggi sugli stupefacenti (Dpr 309/1990) punisce l’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, la quale ricorre quando tre o più persone si associano tra loro allo scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 70, commi 4, 6 e 10, ovvero dall’articolo 3 dello stesso Dpr. La norma prevede tuttavia un differente trattamento sanzionatorio per questo tipo di delitto a seconda del ruolo svolto dall’indagato. Chi ha un ruolo di promotore o finanziatore dell’associazione è punibile con la reclusione non inferiore ai venti anni, mentre la semplice partecipazione all’associazione viene punita con la reclusione non inferiore a dieci anni. Il delitto previsto dall’articolo 74 costituisce una norma speciale rispetto all’articolo 416 Cp, che punisce l’associazione per delinquere.
L’articolo 74 e l’orientamento della Cassazione
La Corte di Cassazione è stata più volte chiamata a pronunciarsi sull’articolo 74 e i verdetti hanno spesso ribaltato l’impostazione accusatoria. Tra le sentenze più recenti e significative si registra la n. 45587 del 2022, con cui la Sesta sezione penale ha affrontato, con l’esame di un ricorso proposto avverso l’ordinanza del tribunale del Riesame di Reggio Calabria che applicava all’indagato la custodia cautelare in carcere, due importanti tematiche. In prima istanza ha affrontato la questione dei parametri che devono essere applicati per dimostrare sia la sussistenza del vincolo associativo, sia la partecipazione del singolo indagato al sodalizio. In secondo luogo appare interessante l’analisi della Corte sui limiti di applicabilità concreta dell’istituto previsto dal comma 5 dell’articolo 73 Dpr 309/90, cioè il cosiddetto reato di lieve entità.
La Cassazione sull’articolo 74 e la consapevolezza dell’indagato
La Cassazione ha stabilito che la ricostruzione dell’organigramma dell’associazione per delinquere prevista dall’articolo 74 non può automaticamente costituire elemento di naturale dimostrazione della partecipazione di tutti gli indagati al sodalizio criminale. In particolare nel caso vagliato dalla Suprema Corte, pur potendosi ravvisare un parametro utile alla configurazione astratta dell’associazione per delinquere ipotizzata e consistente in uno stabile rapporto di fornitura di stupefacenti, instaurato fra il ricorrente, individuato dall’accusa come fornitore, e altro indagato, nel ruolo di acquirente, difetta totalmente la prova che tale illecito legame, fosse concretamente collocabile nel più ampio contesto associativo. La Cassazione ha poi ritenuto che pur sussistendo la reiterazione continuativa delle forniture dei droga, quest’ultima deve essere caratterizzata da ben determinato profilo soggettivo che corre lungo due binari. In particolare deve essere individuata la coscienza e volontà degli indagati di operare nel più contesto associativo e la loro consapevolezza di agire per favorire il fine specifico del sodalizio. La prova della sussistenza di questi due requisiti “soggettivi” deve essere rigorosa ed ad personam. Essa non può quindi essere desunta in modo generico e indiretto. Secondo la Cassazione è dunque, obbligo del gip del tribunale del Riesame enucleare gli indizi che spingano a ritenere che il singolo sia membro dell’associazione e valutarne l’effettiva gravità.
La Cassazione sull’ipotesi della lieve entità e la valutazione globale
La Corte di Cassazione ha infine affrontato il tema della contestazione, svolta da parte della difesa dell’imputato, in ordine alla qualificazione giuridica dei reati fine, configurati come ipotesi di violazione dell’articolo 73 commi 1 e 4 Dpr 309/90: le cosiddetta ipotesi di spaccio “semplice”. Nel ricorso il difensore ha sollevato una serie di doglianze circa la mancata derubricazione nella fattispecie attenuata (lieve entità) di cui al comma 5: contestazioni che erano scaturite dal mancato sequestro di un grosso quantitativo di droga contestato dalla Procura e dalle modiche quantità di cocaina smerciate nel corso dei singoli episodi registrati. La Suprema Corte ha però respinto la doglianza, evocando una lettura complessiva e globale della vicenda. Con questo indirizzo la Corte ha escluso la configurabilità nella specie dell’ipotesi lieve. Si tratta di un orientamento che nel corso degli ultimi dieci anni si è sempre più rafforzato. L’esegesi giurisprudenziale dei criteri previsti dal comma 5 (mezzi, modalità, circostanze dell’azione, qualità e quantità delle sostanze trafficate) ha infatti progressivamente privilegiato un carattere di valutazione globale del fatto, dell’agente e della sua condotta, tanto che è diventata sufficiente la valutazione di non adeguatezza anche di uno solo dei cinque parametri per escludere la derubricazione dell’ipotesi originaria (commi 1 e 4) in quella minore.