Non sempre il mandato di arresto europeo si traduce nell’automatica consegna del detenuto o dell’imputato al Paese richiedente. La norma di riferimento prevede infatti la possibilità che l’ordine di cattura possa essere anche rifiutato: questo può avvenire per motivi obbligatori oppure facoltativi. Proprio in quest’ultimo caso va a inserirsi una specifica fattispecie, la quale stabilisce che nel caso in cui il presunto responsabile del reato sia sia nel frattempo inserito nel tessuto sociale e lavorativo del Paese richiesto allora ha diritto a non essere estradato. Un principio che va a ribadire ancora una volta quello che dovrebbe essere il fine ultimo della pena: la rieducazione del detenuto.
Mandato di arresto europeo, cosa prevede la legge
L’articolo 18bis lett. C della legge 69 del 2005 prevede e regola i motivi di rifiuto facoltativi della consegna. La Corte di appello può rifiutare la consegna in tre casi: se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato di arresto europeo, nei confronti della persona ricercata, è in corso un procedimento penale in Italia, esclusa l’ipotesi in cui il mandato d’arresto europeo concerne l’esecuzione di una sentenza definitiva di condanna emessa in uno Stato membro dell’Unione europea; se il mandato d’arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio, ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio; se il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la Corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno.
Il caso del truffatore romeno non estradato
È proprio facendo leva sull’ultima fattispecie che la difesa di un uomo originario della Romania, condannato in via definitiva a 1 anno e 8 mesi per truffa e guida in stato di ebbrezza alcolica, è riuscita a evitare l’estradizione del proprio assistito. I legali del condannato hanno infatti depositato una serie di documenti e rappresentato fatti e circostanze che hanno consentito di dimostrare il reale e non fittizio radicamento del proprio assistito in Italia, così da consentire alla Corte di appello di Roma di applicare l’articolo 18bis lett. c) e dunque rifiutare la consegna derivante dal mandato di cattura dalla Romania. I reati contestati all’uomo, che nel corso del procedimento aveva anche ammesso le proprie responsabilità, risalivano infatti al 2012 e al 2010. Nel frattempo l’imputato si era però trasferito in Italia, dove aveva trasferito la propria regolare residenza e aveva anche trovato un’occupazione. I legali del ricercato sono così riusciti a dimostrare che il proprio assistito aveva instaurato in Italia un radicamento reale e non estemporaneo, di cui erano indici concorrenti la legalità, la continuità temporale e la stabilità della sua presenza nel territorio italiano, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna inflitta all’Estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari e affettivi, oltre al continuativo pagamento di oneri contributivi e fiscali.
Il “no” all’estradizione e la mossa della corte di appello di roma
Per il truffatore condannato le buone notizie non erano però finite qui. Una volta rifiutata la consegna, con la sentenza pronunciata nell’ottobre 2020 la Corte di appello di Roma ha riconosciuto la sentenza emessa dal tribunale romeno affinché la stessa potesse essere scontata in Italia, ma al tempo stesso ha sancito che il condannato non sarebbe più tornato in carcere. Infatti è stabilito che, in tema di mandato di arresto europeo, la Corte di appello che intende rifiutare la consegna ai sensi dell’art. 18-bis, lett. c), disponendo l’esecuzione nello Stato della pena inflitta al cittadino italiano (al cittadino di altro Paese dell’Unione europea legittimamente residente o dimorante in Italia), è tenuta al riconoscimento della sentenza su cui si fonda il Mae, secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 161 del 2010, anche per verificare la compatibilità della pena irrogata con la legislazione italiana. La pena comminata in Romania è stata dunque scontata in Italia sulla base del riconoscimento della sentenza straniera così come previsto dal D. Lgs. 161 del 2010, ma il residuo di pena è stato estinto attraverso una delle misure alternative al carcere previste, che nel caso del cittadino originario della Romania è stata individuata nell’affidamento al lavoro previsto dall’art. 47 dell’Ordinamento Penitenziario. In questo modo il condannato ha saldato il proprio debito con la giustizia, ma al tempo stesso è riuscito a preservare i rapporti familiari e la posizione lavorativa che aveva creato in Italia.